L’Uomo di Nazareth biografia di Gesù: Arthur van Schendel

L'Uomo di Nazareth biografia di Gesù: Arthur van Schendel
Ed. 1935

Il seguente testo L’Uomo di Nazareth biografia Gesù fa parte del quinto capitolo del volume che Arthur van Schendel scrisse tra l’autunno del 1914 en il 1915. Nella primavera del 1914 lo scrittore si recò in Palestina per studi preparativi alla scrittura dell’opera, la cui prima edizione uscì nel 1916. Il titolo originale è De mens van Nazareth.

 

[…]

E, finita la lieta festa, finito il sabato, i pellegrini levarono le loro tende e a schiere partirono per le terre ove dimoravano. Quelli di Nazareth si diressero verso nord seguendo la strada per la quale erano venuti, e quando dopo un giorno di viaggio si riposarono, sorse uno a chiedere del figlio del falegname.

Giuseppe e la madre si misero a chiamarlo e a cercarlo tra i parenti e tra gli amici, ma non lo trovarono e ritornarono a Gerusalemme. Per tre giorni lo cercarono nella folla, su e giù per la città. Allora andarono al tempio e lo trovarono là, seduto in mezzo ai dottori che lo ascoltavano e lo interrogavano. Egli parlava nella lingua dei contadini di Galilea, ma cio che diceva lo vedeva cosi chiaro davanti agli occhi, che la legge diventava nuova e viva nella sua voce, e quelli che l’udivano restavano sbigottiti del suo senno e delle sue risposte. Tuttavia i genitori, al vederlo fra i dotti, si turbarono assai, perchè egli era uno scolaro della campagna e loro, i savi di Gerusalemme, la cui voce era ascoltata nel gran consiglio, E Maria ristando timida innanzi ai vegliardi, lo rimproverò, ma i suoi occhi si posavano scintillando su di lui:

«Figlio, perchè ci hai fatto così? vedi, tuo padre e io ti abbiamo cercato con ansia.»

Ma egli era pieno dello Spirito, e disse loro:

«Perchè mi avete cercato? non sapevate che io devo essere nelle cose del Padre mio?»

Ma essi non lo compresero. Allora andò e tornò con loro a Nazareth, e fu loro sottomesso, ma la madre custodì in cuore tutto ciò che aveva veduto, e, spesso, mentre era intenta al suo lavoro, fissava lo sguardo in alto, pensosa.

E Gesù lavorava da falegname e imparava le scritture col maestro. Più bello pareva il sole di quell’estate, soave il vento, più rigogliosa la vegetazione dei campi, ed egli sentiva la sua solitudine canora della gioia che aveva ricevuto e nell’anima scorrergli la dolcezza dell’amore, dolce come il miele dei primi fiori. La stagione sfolgorava e scintillava di luci fluenti, là dove egli andava per l’aria calda di attesa, con gli occhi e le orecchie aperte alla vicina felicità, col volto soffuso dallo splendore della maturante giovinezza. Quelli che lo vedevano aprivano grandi occhi e traevano pieni respiri, perchè la soavità e il profumo, e la tenerezza e il calore del risveglio si spargevano all’intorno e facevano lieta la strada: dove egli passava. E Gesù cresceva e lavorava tacito, e cominciava a vedere nel mistero.

Più vasta splendeva la luce dei giorni, più ampie cadevano le ombre della sera innanzi al suo volto meravigliato, gli attimi non avevano più fine. I rumori che udiva, il battito dell’ala di un colombo o il mormorio del vento, la voce d’una madre che ninnava il suo bimbo o il sospiro della sua stessa bocca, destavano nel suo petto una grave risonanza; le cose che vedeva, un bue che passava giù nella valle o una figura lungo il muro della bottega, una luce nella notte o l’acqua della fontana, gli apparivano in uno splendore cosi violento ch’egli ne sentiva la vampa contro il viso. E tutto ciò che pei suoi pensieri era cupo e vago, nei suoi sogni esplodeva in una chiara meraviglia di liberata gioia. Il sonno lo lasciava in un sospiro; aveva in bocca la dolcezza del languore, e sapeva che la forza di quella gioia che ogni giorno più gli rinvigoriva il corpo e gli illuminava il profondo dell’anima, era una grazia ch’egli non aveva mai conosciuta.

Ma cercava di conoscerla e imparava che per ogni essere umano l’amore è una necessità e che esso sempre cresce in coloro che l’Eterno ha eletti.

Viaggiò con Giuseppe per le città della Galilea dove si costruivano edificii e là si fermarono per lavorare. In una di quelle città, un giorno tutto sole accadde che uno sguardo umano, vagante fuori della folla, gettò nella sua anima il raggio della conoscenza. Si fermò accecato. Ma la sua voce gridò da tenebre fiammeggianti, ed egli si svegliò alla bianca luce e il suo sguardo abbracciò il mondo nella sua eterna felicità. Da quel momento fu l’amante del mondo.

Guardava la bellezza del cielo apparire ogni mattino alta e pura come il primo giorno: il suo sguardo estasiato errava per colli e pianure sino all’orizzonte, su tutto ciò che era verde per la maturità della terra, su tutto ciò che era giallo pel fuoco del sole, sullo scintillio delle acque: tutta la terra raggiava soddisfatta innanzi a lui, lo penetrava di quiete. Guardava gli uccelli nella loro gioia: la tortora tubava soltanto nelle basse querce, l’airone si ergeva immobile sull’orlo delle pozzanghere, le quaglie volavano verso il mare a stormi garruli e festosi, e dall’alto stillava talora la canora soavità dell’allodola. E Gesù intendeva la felicità della terra, le sue piante e le sue bestie uscite dalle mani del Creatore; s’inginocchiava e baciava piangendo la sabbia, e innalzava sonora la voce.

Il cuore gli batteva leggero, la tepida aria gli carezzava il viso, e ritornando al villaggio, il suolo pareva scivolare sotto i suoi piedi. Alla fonte vi era col suo cavallo un soldato, uno schiavo del sovrano; come non rispose all’augurio di salute, Gesù si fermò e guardando lo stràniero negli occhi fu atterrito dalla tenebra che ne ricevette.

Ma quando lo interrogò, il soldato crollò la testa e parlò sospiroso nella sua lingua; Gesù camminò avanti lentamente.

E incontrò una donna che teneva gli occhi bassi; innanzi a lui li alzò e riconoscendolo sorrise, ma il sorriso disparve subito dalle sue labbra. E di nuovo egli si fermò, di nuovo interrogò, ed essa lo fissava. Nel nero di quegli occhi Gesù vide le nebbie dell’angoscia ma quando li scrutò più addentro, la donna ruppe in pianto e bisbigliando tra sè, si allontanò. Poi giungendo alle prime case della strada, udì dei gemiti come di uno che fosse sfinito dalle pene; innanzi alla porta non c’era nessuno. Entrò e trovò un vecchio ammalato sul suo giaciglio, con vicino una vecchia donna. Gesù s’inginocchiò accanto a lei, e la interrogò: la sua voce cantò nella casa, il malato tacque e chiuse gli occhi per ascoltare. Poi s’addormentò mentre quei giovani occhi contemplavano in lui tutta la tristezza della vecchiaia.

Quando entrò nella casa dei genitori, Maria s’alzò dal suo lavoro per salutarlo e vide il figlio tornare dal suo viaggio, olezzante come un fiore sbocciato nei campi, radioso e colmo di giovinezza, ma il calore della sua testa la domanda dello sguardo tradivano lacrime future. Fu Maria che distolse gli occhi da lui, e Gesù, varcata la soglia, giunse le mani nella preghiera che innalzano i ritornati a casa.

Da quel giorno la fiamma dentro di lui sali sempre più calda; egli guardò gli uomini con occhi sempre più chiari. Ma a lungo ancora nei suoi sogni si chinò verso la dolcezza di cui ai giovani cuori appare colmo il mondo, a lungo ancora cercò l’opulenza dei luoghi solitari, e la sua mente si apriva soltanto. a ciò che di grato ha la vita umana: tutto il resto egli lo guardava senza vederlo.

Se ne stava presso il banco per piallare, solitario nella sua felicità, desioso delle tenerezze che gli avrebbe rivelate la sera e il suo saluto e le sue risposte avevano una fluida sonorità, Dopo il tramonto s’incamminava su pei colli, attraverso campi e frutteti, dove vicini erano lo stormire delle foglie e i rumori degli animali notturni, e lontano lo strepito del villaggio; e nell’ombra cominciava il fervore, la vagante musica delle domande e lo scintillio della gioia che sorgeva; e non fiorivano più stelle in cielo che sguardi umani puri e teneri innanzi alla sua fantasia, e non brulicavano più misteri nel buio del fogliame e del pendìo che al suo orecchio non sussurrassero voci, non languissero sospiri dal seno onde nasce ogni anima. Le sue labbra scottavano, le sue braccia erano forti e vaste, il caldo vento ch’egli cingeva in un bacio portava pel mondo la rugiada della sua felicità. Volti umani, voci umane, figure umane, facevano felice la sua notte, ed egli sapeva che esse, figlie della gioia immortale, vivevano nel Creatore che le avrebbe generate a loro tempo.

Tuttavia il suo cuore era troppo giovane per cercare ristoro presso quelli che abitavano con lui nel Villaggio.

Roseo in volto lavorava a fianco di Giuseppe con martello e scalpello e sega: sedeva a tavola insieme coi fratellini e le sorelline; chiara s’alzava la sua voce nell’adunanza, ed egli non s’accorgeva che quelli di casa, i vicini e gli amici cercavano il suo viso nella lucente nebbia che lo avvolgeva, nella sua voce ascoltavano l’alba. E innanzi a quegli occhi affisati lontano, anche per loro il giorno splendeva meravigliosamente.

Passò così una estate di quiete, e una soave stagione di piogge e di canti festosi; poi, quando bisognò di nuovo fare il lavoro dei campi, ed egli camminò lungo i solchi spargendo la semente, sentì sbocciare il primo fiore del desiderio e s’accorse che le sue mani erano piene ma che non avevano donato. Le grida di uomini e donne nel campo vicino risonarono nel suo cuore. E dopo il lavoro andò da loro, innanzi alla porta della casa, e si sedette e li ascoltò parlare. Allora cominciò a conoscere la bontà della sorte dei mortali.

Un mattino fu svegliato dai lamenti della vicina ch’era nel parto, e a un tratto comprese che stava per accadere una meraviglia di umana gioia, perchè il lamento usciva profondo dal cuore della madre e quelli che l’udivano stavano quieti in un’attesa sgomenta. Usci piano e fermatosi contro il muro senti la soave carezza del giovane sole e l’aria sfavillare al suo sorriso – una donna che comparve sulla porta arrossì di felicità. La gioia balzò in lui così possente ch’egli chiuse gli occhi e osò soltanto mormorare il santo Nome. Ma quando udi una vocina dal buio interno della casa, si erse e andò diritto alla casa dell’adunanza, dove si mise il suo mantello e la sua cinghia e lodò l’Eterno per il nuovo figlio d’Israele. Egli era allora nell’età che agli adolescenti spunta la barba sulle guance. Nelle ore di riposo s’intratteneva con gli artigiani a parlare del loro lavoro, ascoltando attento e osservando i loro attrezzi; e quando se ne andava dopo aver augurata la benedizione di Dio, quegli che aveva ricevuto tale saluto, prima di rimettersi al lavoro s’indugiava con uno sguardo più dolce sul piccolo luogo delle sue quotidiane fatiche, e Gesù tornava con mani contente ai suoi attrezzi da falegname.

E vide la felicità della giovinezza. Un giorno, scendendo alla valle attraverso i frutteti, gli ulivi brillavano dei loro fiori argentei, le nuvole di primavera ornavano il cielo, la luce mattutina spargeva il suolo di piccole faville. E andando udì le note di una canzone suonate sopra uno zufolo, come quelli che i pastori tagliano da una canna per loro diletto, e, appressatosi al luògo dove s’ergevano dei fichi coi loro frutti di primavera, scorse un giovane e una fanciulla, compagni dall’infanzia, seduti l’uno di faccia all’altra. Ma essi non s’accorsero di lui, e Gesù prosegui avanti senza far rumore. Prima di oltrepassare gli alberi, voltò la testa e indugiò, e in un’ardente nascita gli apparve il miracolo che lega due anime in una. Uno sguardo che un giorno lo aveva penetrato sino al fondo, ora zampillò luminoso, ed egli volse verso i due i suoi occhi puri: vide la bellezza di quegli amanti, piena come un mandorlo fiorito, soave come una daina che riposa, pura come l’aurora. Un fresco respiro gli uscì dalle labbra, una benedizione non detta, un sospiro a Dio. S’allontanò dal luogo consacrato, sentendo nelle mani la bellezza umana, godendo in petto il sole del sangue, gustando in bocca il sale del desiderio. Guardò il cielo alto sopra la terra e il suo cuore diventò un albero pieno di cinguettii: cosi imparò la felicità dell’uomo e della donna.

Imparò anche la brevità degli umani giorni, prima che la sua anima cominciasse a cercare l’enigma dei dolori, e anche da quella conoscenza comprese la misericordia dell’Eterno. Fu verso la fine della sua adolescenza, quando tutto ciò che di umano egli scopriva, era luminoso e fresco come un fiore. Il sole appena brillava sui monti di Naphtali ed egli saliva incontro al colle che si alza sopra il villaggio; nel suo sguardo vagava la brama che cerca lontano. Giunto vicino a un ovile udì le pecore belare afflitte, perchè non le avevano ancora lasciate uscire a pascolare.

Entrò, cercò il pastore sotto il piccolo ricovero e lo trovò che giaceva al suolo, con gli occhi aperti. Quando si chinò su di lui, il morente mormorò che egli aveva pregato invocando qualcuno e che voleva andare da Colui dal quale era venuto, e Gesù vide che il vecchio si era preparato.

Il suo cuore si fece grande per il morente, gli prese la mano; allora il pastore volse gli occhi a lui e mormorò il suo nome.

E Gesù aspettò, guardandolo. All’intorno spiravano profumi, un rumore di canti fluiva dal colle soverchiando i belati delle pecore, finchè d’un tratto il vivo udì di esser solo, e non dubitò, benchè quella mano fosse calda nella sua e quegli occhi fissassero i suoi, benchè nessun soffio, nessun sospiro avesse lasciato quell’uomo che non era più un uomo, non dubitò benchè l’aria laggiù scintillasse di sole. E lacrime gli scesero dagli occhi, chè una sonora magnificenza scorreva sopra il suo essere, ed egli stava là e sapeva che quell’anima che poco prima aveva detto ricca d’amore il nome d’un altro, non aveva fine. E coperse il pastore con le coperte e pregò. Poi prese il bastone e aprì il chiuso, e le pecore corsero fuori accalcandosi intorno a lui; e quel mattino egli le custodi, perchè avevano bisogno di cibo e di guardia…

Note brevi a L’Uomo di Nazareth biografia

  • L'Uomo di Nazareth biografia Gesù: Arthur van Schendel
    Van Schendel in 1920

    Il testo fa parte del quinto capitolo della biografia De Mensch van Nazareth. Oltre a queste poche pagine tradotte da Giacomo Prampolini. Il libro non ebbe un’edizione italiana.

  • Il testo in nederlandse: Arthur van Schendel, Verzameld Werk. Volume I. Meulenhoff, Amsterdam, 1976, pp. 642-648. L’originale si può leggere qui.
  • Cf. inoltre di Arthur van Schendel la novella Chiaro di luna.

 

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